concept
Il principio del dubbio_addestrarsi al fallimento
“Nel tentativo di dubbio, che è connesso con una tesi (…), la messa fuori circuito si realizza in e con una modificazione dell'antitesi, e precisamente nell'“ipotetica posizione”(Ansetzung) del non-essere, che forma quindi la base complementare del tentativo di dubbio.” […] Edmund Husserl
Tentativo, fallimento e vuoto sono presupposti nella ricerca di Didymos e costituiscono una connessione diretta con la Gipsoteca in quanto luogo di valorizzazione del processo creativo.
IL PRINCIPIO DEL DUBBIO_ addestrarsi al fallimento costituisce un’estensione del progetto Tentativo di Dubbio, iniziato nel 2015; una ricerca aperta e in divenire che procede per fasi, mettendo in campo concetto, oggetto e soggetto. Il lavoro si delinea su fondamenti strutturati ma flessibili:
L'epoché è la premessa, il mettere "tra parentesi" l'in-sé e qualunque cosa in sé. Una sospensione del giudizio che mette fuori circuito la tesi generale inerente all'essenza dell'atteggiamento naturale.
Il tentativo è assunto come strumento che mette in relazione le nostre intenzioni e aspirazioni ontologiche con ciò che è altro e fuori da noi, in cerca di un assetto ipotetico, che possa ribaltare le dinamiche di partenza per cui il soggetto (forse) non potrà più essere chiamato tale.
Il fallimento è la tesi. Nella sua fallibilità, il tentativo diventa uno strumento volontariamente impreciso, ma denso di potenzialità ignote.
La kenosis, è una porta verso l'altro, una condizione nella quale si dispone l'artista e che si propone anche all'osservatore, al quale si chiede una totale presenza.
Il dubbio è una disposizione dell'essere necessaria all'esserci, un'attitudine per sperimentare il suo punto limite correndo il rischio della crisi di presenza.
L'ansetzung, porre in maniera ipotetica. Indica una modificazione della mera coscienza di neutralità, dato che, nella posizione ipotetica il pensiero, l'immaginazione viene assunta a titolo di ipotesi, e proprio per questo può essere sottoposta ad una valutazione perpetua.
In nuce l’addestrarsi al fallimento prevede il reiterarsi della prassi, essa si delinea all’interno di un approccio flessibile ed ellittico, per il quale la pratica e la teoretica sono un perpetuo nosce te ipsum. Un lavoro su se stessi, un lavoro sul lavoro, nell’accettazione dell’inevitabile imprecisione e ipotesi momentanea.
La Gipsoteca è un contenitore di tentativi, calchi e ipotesi, concepito nella modernità. La Gipsoteca nasce con l'esigenza storico/teoretica della conservazione del processo creativo, dove il focus viene posto non tanto sull'opera finita, quanto sul lavoro che l'ha preceduta. Da questa iniziale riflessione muove il progetto di Didymos IL PRINCIPIO DEL DUBBIO_addestrarsi al fallimento.
IL PRINCIPIO DEL DUBBIO_ addestrarsi al fallimento propone un'indagine sulla nozione di stampo e calco, una dialettica aperta alla comprensione dell'essere. Il concetto platonico delle idee come stampi originari perfetti, dai quali vengono generati molteplici calchi imperfetti, le cose, genera una relazione a senso unico che non permette di raggiungere lo stampo originario attraverso il calco, in quanto impreciso. Le imitazioni non potranno mai essere uguali al modello perché le idee nell'iperuranio non hanno né forma, né colore, né dimensioni. Mentre gli oggetti sensibili sono caratterizzati dal divenire e dal mutamento, soltanto delle idee si può propriamente dire che siano stabilmente se stesse; proprio questa differenza di livelli ontologici, ossia di consistenza di essere, qualifica le idee come modelli rispetto agli oggetti sensibili corrispondenti.
Quali sono le possibilità logico-pratiche che possono permettere di dubitare di questa tesi?
Lo stampo, ovvero ciò che contiene la veridicità epistemologica dell'idea, inevitabilmente, e senza soluzioni di continuità, se ne allontana attraverso l'atto di distacco, diventando simulacro, similitudine, non-originale, fallimentare calco. Il calco a sua volta, nella sua unicità, può generare altri stampi che, seppure differenti l'uno dall'altro, possono essere considerati ciascuno uno stampo originario, oppure un calco imperfetto. Il calco diviene stampo e lo stampo calco..
IL PRINCIPIO DEL DUBBIO è un'indagine dubitativa e priva di soluzioni assolute che naviga nella struttura originaria dell’essere, ciò che è necessariamente presente in quanto essente che appare. Una necessità di definire la presenza attraverso i mezzi dell'aporia e della creazione. Il lavoro materiale e creativo su stampo e calco, spostato da un livello di funzione artigianale ad un livello di comprensione e costruzione eidetica ed estetica, porta ad attraversare la dicotomia tra cosa e idea. Il fallimento permette di stare in questa soglia e di rigenerare la domanda in modo perpetuo.
Il progetto nasce come ulteriore processo di ricerca sull'assunto numero 6 sviluppato nel primo capitolo di Tentativo di Dubbio. Il principio del Dubbio si sviluppa dunque come ulteriore assetto ipotetico di tale assunto, nel tentativo, forse impossibile di non fallire.
Assunto numero 6 (Tdd cap1)
Degli stampi perfetti vibrano con un ritmo costante dando origine a calchi eguali, essenza di se stessi. Tali calchi, ondeggiando, mutano gli stampi in altri calchi; cosicché gli stampi diventano calchi e i calchi diventano stampi. Senza soluzione di continuità.
Sul fallimento
“Per questo il ritiro del fondo non va mai sovrapposto con il fenomeno di un mancare come un venire meno. Non dovremmo mai essere troppo impazienti nel domandare se la filosofia non corra troppo qui, proprio in questa relazione interna tra un ritiro mancante e un mancante come venir meno, il rischio maggiore di non concorrere ad una logica di un evento d'eccezione. La filosofia dunque è sicuramente esperta del venir meno di un fondo e sarebbe esperta del ritiro se fossimo in presenza di un medesimo fenomeno, cioè se il ritiro di un fondo si potesse dire nella formula di un fondamento mancante. Se l'evidenza di un mancare fosse cioè il contrassegno del ritiro di un certo fondo. Un fondamento mancante , senza fondo, senza abissalità nel suo essere in ritiro, è un pensiero tutt'altro che semplice per la filosofia.
Essa ha sempre qualcosa da nascondere sia quando si impegna nell'assicurazione di uno stabile fondamento sia quando ne proclama la definitiva consumazione.”
C. Meazza , L'evento esposto come evento d'eccezione.
Considerare il fallimento come la tesi della propria ricerca, significa sondare i limiti della struttura originaria e fare su questi limiti un infinito esercizio di accettazione. Un addestramento che pone se stessi di fronte a se stessi, alla propria intrinseca precarietà, dove tale parola non è sinonimo di fragilità, ma costante lavoro, ontologica necessità e predisposizione alla ricerca stessa che produce: ostinazione, determinazione e ricaduta in assetto ipotetico. Senza soluzioni (forse) possibili, se non la fatica, il lavoro stesso, spesso scomodo, ostico, destabilizzante. Una condizione che al primo approccio disorienta, decentra, per poi ritrovare un'altra centratura da ri-verificare.
Il fallimento nasce dalla mancanza, dalla falla, dall'assenza di qualcosa e dall'andare verso qualcosa. Non ha mai un carattere frustrante nella prassi di Tentativo di Dubbio. Il fallimento sviluppa una forza contraria, nel tentativo di colmare quella fenditura. Un lavoro, nei termini in cui la fisica definisce tale parola, che si compie quando in un sistema una forza viene applicata ad un corpo per produrre od ostacolare uno spostamento; in questo caso si tratta di uno spostamento circolare, perpetuo.
La tesi del fallimento è inaspettatamente ontologica, ciò non vuol dire che essa non debba essere messa tra parentesi, sospesa. Senza tale sospensione, la tesi del fallimento, che viene messa in dubbio e alla quale viene posta un'antitesi mediante un tentativo che non vorremmo fallisse, diventerebbe movimento vuoto e cronico, chiuso in se stesso.
Il fallimento genera spaziature tra i soggetti, lo spazio del noto, del comune, una bordatura parergonale che permette all'essere di esserci.
Tautologicamente Il fallimento è ciò che detiene falle.
Epochè e intenzione
L'Husseliana come veicolo
Arresto, sospensione del giudizio.
Il rapporto dicotomico anima/corpo, stampo/copia, si trasforma in un’inerenza pura intenzionale.
L’epoché sul dato alla mano palesa il terreno della conoscenza eidetica di contro o specularmente alla conoscenza dei dati di fatto.
Ci si domanda cosa resti dopo la sospensione del dato di fatto, quale sia il residuo di tale esercizio la cui conseguenza consiste nella costituzione delle regioni cui corrispondono altrettante scienze eidetiche, l’essenza della natura, nonché tutte le modalità o vincoli essenziali degli oggetti di natura. Tutto ciò lo si può ritenere necessitante di una continua verifica e giustificazione. Un esercizio appunto, alla comprensione del comprendere.
Per Husserl si rivela la pura coscienza, regione assoluta dell’autonoma soggettività, anche detta coscienza trascendentale, cui si perviene attraverso il processo dell’epoché trascendentale. La riduzione husserliana assume il carattere della gradualità, dell'andamento progressivo: passando da un’epoché eidetica ad un’epoché trascendentale.
Ciò che si va cercando, attraverso il tentativo sull'Assunto 6, è la visione dell'evento esposto e dell'ente, seppur nella sua parzialità, ritiro, inizio ed esposizione, senza resto, ovvero che non ci sia scarto tra matrice e copia dell'ente. Concentrandosi su ciò che unisce le parti dell'ente nella loro bordatura essenziale, il parergon. Una questione di spazio, uno spazio denso. Una spaziatura tra matrice e calco che le rende presenti, senza discontinuità; ciò avviene nell'ente e inevitabilmente tra gli enti, somme di matrici e copie.
Questo è apprendibile nell'esperienza concreta, diretta, intenzionale e tagliente, ovvero che taglia l'ente nella sua rivelazione velata. Una verità infinita e talmente estesa davanti ai nostri occhi, che non è prendibile, non è colta, un'apprensione parziale, fallimentare e meravigliosamente adombrante.
Ne Il Principio del Dubbio l'epochè inizia nell'atto intenzionale di non vedere più Giulio Monteverde e il suo Ottocento, le tendenze simboliste, le figure allegoriche, i personaggi raffigurati.
Si mette G. Monteverde tra parentesi, e poi si cambia l'intenzione funzionale alla mimesi del modellato che si sta attuando. Decidendo di modellare e copiare alcune sezioni di gessi, si scelgono le parti più connotabili e allo stesso tempo più deteriorate e deturpate dall'accidente, dall'incuria e dal vandalismo che le ha amputate.
Interessano proprio quelle parti, come il viso dell'angelo del monumento funebre Massari; mancante nella sua completezza espressiva, richiama a colmarlo con la ragione. Si mette tra parentesi il fatto che esso sia un volto di angelo, e si lavora sulle sue forme e sulla fedeltà copiativa della mimesi cercando di cogliere il complesso strutturale della parte in analisi.
Attraverso l'epochè ci si concentra sul dato esperienziale intenzionato verso la funzione della risoluzione dell'A6. Direzionando la mimesi alla finalità di avere un modellato il più possibile fedele all'originale, per ottenere successivamente uno stampo perfetto.
Un esercizio, l'epochè, che è nel suo farsi, fallimentare e parziale, è impossibile da ottenere completamente e da concludere. Per questo, come una partitura infinita, ha necessità di essere ripetuto. Potremmo reiterarlo fino alla nostra morte, senza poterlo mai compiere in toto.
L'Assunto 6
Il Principio del Dubbio è una fase di Tentativo di Dubbio nella quale il focus è posto su un unico Assunto, già sviluppato e tentato nel Capitolo 1.
É uno zoom sull'approccio del Tentativo di Dubbio e su un aspetto nodale che è contenuto in quell'Assunto specifico.
Nell'Assunto 6 infatti si affrontano le dicotomie legate alla definizione della struttura originaria dell'ente, all'apprensione che il soggetto ha del suo oggetto, al porsi del soggetto verso il mondo e la sua conoscenza. Per questo il Principio del Dubbio.
In particolare, A6 si concentra sulla tesi platonica leggibile nel Mito della caverna e nella figura del demiurgo “scultore” delle idee. Verso tale tesi viene posta l'antitesi dell'inscindibilità e dell'infinito rimando tra ciò che può essere poeticamente chiamato stampo e copia, idea e cosa.
L'Assunto 6 riflette sul senso stesso dall'approccio fenomenologico, della sua continua ricerca verso la verifica e la giustificazione, sul come apprendiamo il tutto. Nell'A6 è come se il fenomenologo che guarda il mondo e guarda colui che guarda il mondo, venisse guardato a sua volta; un lavoro sul lavoro, dubitativo della prassi stessa.
Nel primo tentativo, assetto ipotetico, svolto nel capitolo 1, diverse file di cilindri cavi diventano stampo e copia di se stessi, fallendo nell'impossibilità di essere un processo infinito. Nello scontro con la materia dato dal tentativo, il cilindro, ad un certo punto cessa di essere cavo nel momento in cui la sua sezione diminuisce di misura.
In questo secondo tentativo sull'A6, la scultura, mediante le fasi di modellato e formatura, tenta di non fallire nel processo, dispiegando stampi e copie in un esperimento biunivoco che trascenda la materia e che utilizzi i paradossi dei materiali stessi a suo favore.
Durante il processo di modellato e formatura, però, possono verificarsi perdite del dettaglio scultoreo, che, anche se quasi invisibili, rendono nuovamente la tesi platonica e il suo concetto di infedeltà della copia allo stampo, valida e ri-verificabile portando nuovamente il tentativo verso il fallimento.
Saranno le disparità tra copie e stampi, l'indistinguibilità e il declassificante approccio egualitario tra di essi a rimettere in campo la tesi dell'A6 procedendo per continue aporie che renderanno indistricabile la soluzione. Non si ha né torto né ragione e questo è ciò di cui si ha più paura.
Mettere tra parentesi la scultura
L'intenzione può cambiare ogni atto. Un esempio che Grotowski citava era l'atto del bere un bicchiere d'acqua: pur nella stessa apparente partitura esso poteva essere mosso da intenzioni differenti cambiando il processo e la sua finalità. Bere un bicchiere d'acqua perché si ha sete è differente dal bere un bicchiere d'acqua perché si è imbarazzati. Il primo esempio è un'attività, il secondo un'azione fisica.
Cosa significa cambiare l'intenzione alla scultura?
Significa non pensare ad essa con la finalità di produrre una scultura.
La scultura è il mezzo, il veicolo, per poter risolvere l'Assunto, attraverso il processo stesso della scultura, in tutta la sua complessità. Non c'è una distinzione gerarchica tra la cassaforma, lo stampo e il calco.
La scultura analogicamente sarà una scala di Giacobbe, l'artigianato, il grossolano che si compie nella costruzione di questa scala solida; salendo e scendendo la scala, in modo perpetuo, non per arrivare da qualche parte ma per lo scopo stesso di scendere e salire. La prassi scultorea dunque in questo confronto non produce la scultura, ma rimane praxis. Il movimento di ascesa e discesa attraverso la scala è il processo generato nel tentare l'Assunto 6 in un suo assetto ipotetico.
È così che la concretezza della scultura può trascendere in se stessa spostando il suo significato verso altro da sé.